Il traguardo record di Andrea Camilleri: 100 libri

Cento libri, nove più dei suoi anni. Andrea Camilleri ha raggiunto il traguardo del 100° volume pubblicato pochi mesi fa, con L’altro capo del filo, il nuovo giallo in uscita dall’Editore Sellerio.Camilleri

 

Stavolta il commissario Montalbano è alle prese con gli sbarchi di migranti e vari cadaveri. E anche con gli acciacchi della vecchiaia contro la quale si sfoga nel fresco della sera mentre la sua Livia porge le pantofole per i piedi infreddoliti.

TV: RITORNA IL COMMISSARIO MONTALBANO / SPECIALE

 

 

 

 

La fertile carriera dello scrittore siciliano cominciò nel ’59 con un titolo che non faceva presagire grande successo: Storia dei teatri stabili in Italia 1898-1918. Camilleri allora amava il teatro, faceva il regista, lavorava in Rai. E la carriera letteraria è stata marginale per quasi trent’anni. Poi l’intuizione del personaggio di Montalbano. Un successo che ha sedotto il mondo con la nascita dell’idioma italo-siciliano e dell’immaginaria (ormai realissima) cittadina di Vigàta. E una produzione velocissima: anche cinque-sei titoli l’anno.camilleri 6

Camilleri, 91 anni, ha nei cassetti i dattiloscritti già pronti del 105° e 106° romanzo. Fuma tantissimo, coccola i nipoti, s’informa e s’indigna sul mondo che non va come dovrebbe andare. E continua a lavorare nonostante il forte calo della vista: ora “scrive”dettando i suoi libri ad una fedele assistente.

camilleri 2

Che cos’è la vecchiaia?

«Un’età in cui la macchina umana ha bisogno di frequenti tagliandi. Non puoi più permetterti le tante cose della gioventù, come camminare o mangiare bene, che mi piacevano assai. Ne devi prendere atto e archiviare la pratica. Ma se riesci a mantenere il cervello in funzione, la vecchiaia non esiste. Anzi, è una ricchezza».

Ricorda il Camilleri del primo libro sui teatri?

«Era un Camilleri così preso dal teatro che pensava di studiare e scrivere solo saggi di teatro. Manco si sognava i romanzi né tale successo».

E com’è avvenuta la metamorfosi?

«Con la malattia di papà. Mentre passavo le notti con lui, cominciai a raccontargli il romanzo che mi ronzava in testa, di cui non esisteva un rigo. Mi spinse a scrivere, “come me lo stai raccontando”. L’anno dopo che morì uscì “Il corso delle cose” per adempiere alla promessa che gli avevo fatto».

L’emoziona il traguardo del centesimo libro?

«Sì, e mi guardo con stupore. Credevo di essere uno scrittore dal respiro corto. “Ho il fiato per i cento metri” dicevo a Elvira Sellerio che premeva perché le dessi altri manoscritti dopo i primi due Montalbano. Lei mi smentiva, “provaci, vedrai che puoi fare la maratona”».  camilleri 5

Tra le 100 «creature» quale ama di più?

«Il re di Girgenti. Perché ha rappresentato tante sfide con me stesso. Cinque anni m’ha preso. Ho dovuto perfezionare l’insieme della mia scrittura che fino a quel momento era stata un lavoro in corso di maturazione. La storia del romanzo è magnifica: un contadino che si fece re, capitolò, fu cancellato dalla Storia, ricordato solo da poche righe che lo ricordavano feroce come una bestia».

«Scrivere» dettando è difficile?

«Ho dovuto imparare. Quando uno scrive con le proprie mani, basta alzare lo sguardo per recuperare quel che si è scritto. Questo, non vedendoci più, ti è negato. Ed è impossibile mantenere la memoria di quanto prodotto cinque minuti innanzi. Così mi sono creato un piccolo trucco, ricorrendo all’antico mestiere di regista teatrale. Immagino la pagina come un boccascena, e me come spettatore. So che Montalbano si trova seduto lì, Catarella è a destra, l’altro in piedi… Il quadro visivo mi aiuta a ricordare il dialogo. Poi naturalmente Valentina rilegge, 5-6 volte di seguito, per capire se tutto collima. Comunque sono sempre stato “orale”. Anche quando i libri me li facevo da me, lavoravo muovendo le labbra come se stessi raccontando. Ogni pagina me la leggevo a voce alta. Mi accorgevo di inghippi, errori, caduta del ritmo, solo sentendomi».

C’è qualcosa di bello nei novant’anni?

«Guardare le cose con distacco. Ti appassioni, certo, ma tra te e la passione è come se ci fosse un velo sottilissimo. Continuo ad arrabbiarmi, ma brechtianamente. Quasi straniandomi da me stesso».

Racconti-di-Montalbano-Andrea-CamilleriCosa la fa arrabbiare di più? 

«L’Italia. L’Europa. Il mondo. Le notizie che mi investono brutalmente. Appartengo a quella generazione che uscì dalla guerra con una meta comune, anche se ci combattevamo ferocemente tra avversi partiti: rifare l’Italia. A 90 anni, mi mette tristezza consegnare un Paese così a miei nipoti. Me ne faccio quasi una colpa, come se avessi dilapidato una fortuna. Avrei dovuto impegnarmi di più. Certo non avrei risolto i problemi. Ma la mia coscienza rimorderebbe di meno».

In età avanzata molti scrittori hanno cominciato a porsi seriamente domande sull’aldilà e su dio. Anche lei?

«No. Perché sono un non credente da quando ho l’età della ragione. L’ateismo è saldo. Adesso, per lo meno. Ma chissà cosa succederà in punto di morte. La paura può essere cattiva consigliera. O buona. A seconda dei punti di vista».

Neppure con la morte fa i conti?

«Ritengo la morte un atto dovuto. Come John Gielgud. Al figlio che in un film chiede: “Papà hai paura della morte?”, lui risponde: “No, ma è disdicevole”».

L’incontro più bello della vita?

«È quella signora uscita poco fa domandandomi se avevo bisogno di qualcosa. Sono 59 anni che mia moglie me lo domanda. Se sono quello che sono, lo devo anche e soprattutto al suo infinito affetto, amore, pazienza nei miei riguardi». Andrea-Camilleri-1

Che cosa significa perdere la vista?

«La mia pronipote, che è nata due anni e mezzo fa, la distinguo a malapena. E so che morirò senza aver mai visto il suo vero volto. È un dolore. Oggi mi è arrivato il centesimo libro, mi hanno raccontato la copertina. Me la sono immaginata, ma è brutto non poterla vedere. Come mi dispiace non poter rivedere i colori dei pittori che amavo».

Quali sono le immagini più belle che conserva nella memoria?

«Me bambino nella campagna di mio nonno. Più invecchio e più ricordo i dettagli di quella grande casa. Immagini luminosissime. Il colore dell’erba. La vivezza del cielo. E poi il mare. Le cose brutte, invece, sono opache. Per esempio sono riuscito a cancellare quasi la guerra, i bombardamenti. Come se il cervello avesse operato una selezione, conservando solo la bellezza».

Qual è la sua idea di felicità?

«La felicità pura è quella che non mi capita più e mi capitava anni fa. Aprire la finestra di prima mattina, inspirare, guardare il cielo, e sentirsi felice. Non era la concretezza di qualcosa. Ma l’essere vivo in quell’istante».

Montalbano le è simpatico?

«Lo amo e lo odio. Gli devo quasi tutto. Mi è servito da apripista per gli altri romanzi. Però è invadente, pretenzioso, antipatico. Se finisco in un inghippo, me lo vedo arrivare che dice “farei così”».

camilleri3

Qual è il suo personaggio preferito?

«Svetta su tutti un personaggio femminile. Donna Eleonora, protagonista della “Rivoluzione della luna”. Mi sono imbattuto per caso in lei che nel ’600 fu viceré di Sicilia per un mese. Fece cose straordinarie. Difese con fermezza le leggi e la giustizia in un’epoca in cui regnava la sopraffazione».

In quest’ultimo romanzo c’è il tema dei migranti. Come lo stiamo affrontando?

«Tre anni fa fui ospite di un asilo romano, composto per metà da bambini italiani e l’altra metà da non italiani, di 18 paesi diversi. Giocavano insieme, ridevano, litigavano, si menavano. Ma alla fine dividevano le merendine. L’Europa deve capire che bisogna dividere le merendine. I muri sono sciocchi e inutili».

Adattato da http://www.lastampa.it