Ringraziamo Tommaso Ciotti che ci ha inviato questo testo molto interessante, elaborato per un convegno all’Università degli Studi dell’Aquila, in cui affronta il tema dell’insegnamento L2 in contesto Sprar come strumento per l’integrazione.
“L’importanza dell’apprendimento della lingua del paese di arrivo è ovviamente fondamentale. Senza la conoscenza della lingua non è possibile una comunicazione efficace: si userebbe una lingua franca, probabilmente in maniera non appropriata e quindi non efficace, o si comunicherebbe con i gesti. In ogni caso non si sarebbe in grado di stabilire delle relazioni o, per citare Balboni, non si sarebbe in possesso della “capacità di agire socialmente con la lingua”.1
Il rapporto tra relazioni, finalità educative ed insegnamento linguistico è stato affrontato quasi un cinquantennio fa da Giovanni Freddi,2 che ha individuato tre forme di relazione fondamentali:
- Io e gli altri: a questo tipo di relazione corrisponde la finalità educativa della “culturizzazione”, che prevede un insegnamento linguistico che consenta all’apprendente di essere accettato in gruppi linguistico-culturali non nativi dove vuole/deve vivere;
- Io e i “tu” con cui convivo e collaboro: la finalità educativa è la socializzazione e l’insegnamento linguistico deve consentire all’apprendente di stabilire rapporti interpersonali senza problemi linguistico-comunicativi;
- Io con me stesso: la finalità educativa è l’autorealizzazione, cioè la realizzazione del proprio progetto di vita, e l’insegnamento deve mirare ad eliminare tutti gli ostacoli linguistici a questo progetto.
Nella scuola d’italiano degli Sprar dei Comuni di L’Aquila, Castel del Monte e Pizzoli, gestita dal Comitato Territoriale Arci L’Aquila e nella quale ricopro il ruolo di insegnante di lingua e cultura italiane, sono proprio le finalità della culturizzazione, socializzazione e autorealizzazione che vengono messe al centro del percorso didattico dei circa 50 apprendenti che quotidianamente la frequentano. Questo percorso è inserito in un progetto generale mirato all’acquisizione della completa autonomia del beneficiario sul territorio tramite la somministrazione integrata di servizi primari, assistenza socio-psico-sanitaria e formazione garantita dall’ente gestore.
Dalla breve analisi fatta in precedenza risulta chiaro come alla base della mia azione didattica ci sia l’idea che la lingua sia azione sociale.3 In quanto tale, il suo insegnamento non può limitarsi esclusivamente all’analisi delle strutture morfo-sintattiche, lessicali e fonetiche, cioè la cosiddetta “competenza linguistica”, ma debba sviluppare la “competenza comunicativa”,4 cioè l’insieme delle competenze linguistiche, extralinguistiche (cinesica, prossemica, vestemica, oggettemica), socio-pragmatiche e interculturali.
Di particolare interesse risultano essere le tematiche legate allo sviluppo delle competenze socio-pragmatiche e interculturali. Nella mia esperienza personale, ad esempio, mi sono ritrovato spesso ad affrontare delle difficoltà oggettive inerenti al:
- Concetto di tempo: cosa intendiamo per puntualità, i “tempi del discorso”, l’idea stessa e il valore (anche economico) dato al trascorrere del tempo;
- Concetto di spazio: lo spazio fisico, l’orientamento nel contesto urbano, la prossemica stessa;
- La sfera religiosa;
- La sessualità;
- Il mondo metaforico.
Quello che voglio sottolineare è quindi che non è solo la correttezza della lingua in quanto tale che ci deve interessare, quanto il suo uso nel contesto socio-culturale nel paese di arrivo e la capacità di comprensione mutuale degli aspetti interculturali sopra elencati: tutte le “competenze” fanno l’inclusione.
Nella nostra scuola d’italiano tentiamo proprio di sviluppare queste competenze in modo organico ed integrato. Lavoriamo su quattro classi formate in base ai criteri delineati dal Quadro Comune Europeo di Riferimento (QCER)5:
- Pre Alfa e Pre-A1: livello di primissima conoscenza della lingua italiana.
- A1: livello contatto.
- A2: livello sopravvivenza.
- B1/B2: livello soglia/livello progresso.
È necessaria una parentesi sul raggruppamento dei livelli Pre Alfa e Pre-A1, non presenti nel QCER ma numericamente molto consistenti nell’insegnamento ai migranti adulti. Il livello Pre Alfa è composto da:
- “Adulti che non hanno ricevuto una formazione adeguata nel loro Paese di origine, la cui lingua madre non è generalmente scritta o non è oggetto di insegnamento nel medesimo Paese. Alcuni individui di questo gruppo non hanno sviluppato l’idea di scrittura come sistema semiotico”.6
- “Adulti che non hanno mai imparato a leggere e scrivere nella loro lingua madre. Gli appartenenti a tale gruppo possono essere definiti ‘analfabeti’, soprattutto se hanno ricevuto poca o nessuna istruzione formale”.7
Il livello Pre A1 è composto invece da:
- Migranti adulti che hanno ricevuto un’istruzione limitata nella loro lingua madre (in generale, meno di 5 anni). Gli appartenenti a tale gruppo possono essere definiti “scarsamente scolarizzati” o “semialfabeti”. Fanno infatti parte di questo gruppo coloro i quali non sono in grado di utilizzare la letto-scrittura nella maggior parte delle situazioni quotidiane, anche se riescono comunque a leggere o scrivere ad esempio parole isolate: ricordando la definizione dell’Unesco, sono considerati “analfabeti funzionali”.8
All’interno di questo gruppo dobbiamo anche considerare i cosiddetti “analfabeti di ritorno”.
Dati i profili appena esaminati, risulta chiaro come in questi livelli il lavoro in classe è mirato principalmente a sviluppare quelle che sono le funzioni comunicative basilari e le abilità di letto-scrittura. Entrambi i lavori sono fondamentali in un’ottica inclusiva: le abilità di letto-scrittura sono la base per lo sviluppo della competenza linguistica, mentre lo sviluppo delle funzioni comunicative è centrale per un primo orientamento dell’apprendente nella società e sul territorio.
Tendiamo quindi a suddividere le due ore di lezione in due parti: in una prima parte, quasi totalmente orale, poniamo agli apprendenti domande del tipo:
- “Come ti chiami?”
- “Qual è il tuo indirizzo?”
- “Da quanto tempo vivi in Italia?”
Nella seconda parte l’attenzione si sposta sulla conoscenza dell’alfabeto, sulla lettura di parole semplici e brevi, su brevissimi dettati.
Nei livelli A1 e A2 il lavoro di orientamento sul territorio si fa ancora più importante: ad esempio, abbiamo svolto un’attività nella quale lo sviluppo di funzioni comunicative come “chiedere informazioni”, lo studio del lessico per il campo semantico “uffici pubblici” e l’uso delle “forme di cortesia” veniva traslato immediatamente nella praticità tramite chiamate ai call center del trasporto pubblico effettuate in viva voce dall’apprendente per richiedere informazioni sugli orari e il tragitto di linee urbane per lui rilevanti.
Oltre alla conoscenza del territorio, diventa importante il lavoro sulla conoscenza della comunità d’arrivo, della sua storia e della sua cultura: così vengono affrontati i primi (e facili) testi “storici” sulla nostra città, oppure vengono svolte piccole ricerche in classe con il duplice obiettivo di far conoscere usi e costumi locali e migliorare l’uso delle IT. È a questo punto necessario sottolineare come, nella nostra prassi, l’apprendente è spinto a raccontare la storia, la cultura e i costumi della propria comunità di provenienza: ciò porta benefici sia per la motivazione all’apprendimento che per un confronto interculturale.
Tutto ciò diventa ancora più importante per i livelli più alti: si inserisce una sistematica riflessione metalinguistica ma si inizia anche ad analizzare la letteratura, si approfondiscono storia e geografia e diviene sistematico lo studio dell’educazione civica, anche utilizzando libri di testo specifici. Ma, a mio avviso, ciò che caratterizza principalmente i livelli dal B1 in su è, tornando al discorso iniziale, la centralità dell’azione “autorealizzativa” dell’insegnamento L2. In conformità con gli obiettivi progettuali dello Sprar, tutto è finalizzato a fornire all’apprendente gli strumenti necessari alla realizzazione del suo progetto di vita, partendo quindi dall’eliminazione degli ostacoli linguistici che lo vincolano in una situazione di marginalità.
In quest’ottica si inseriscono due progetti intrinsecamente legati all’insegnamento della lingua. Il primo è una sorta di CLIL (si potrebbe, in un certo senso, parlare di CLIL mirato al conseguimento della patente) che vede gli apprendenti dei livelli B1 e B2 impegnati in un corso di scuola guida. In questo contesto lavoriamo sempre su un duplice obiettivo: l’acquisizione della competenza comunicativa e (forse ancora più importante) l’esame di teoria per il conseguimento della patente B.
C’è da specificare il fatto che questo corso è nato direttamente dal fabbisogno di alcuni ex beneficiari Sprar, che tempo addietro espressero la volontà di conseguire la patente. È venuto quasi naturale allora unire i corsi di lingua a questo secondo obiettivo, data l’oggettiva difficoltà di un linguaggio settoriale quale quello preso in esame. Bisogna anche specificare come, tra gli apprendenti più motivati e più preparati da un punto di vista linguistico, alcuni siano riusciti non solo a superare l’esame di teoria, ma abbiano effettivamente conseguito il documento di guida.
Il secondo progetto è un corso di italiano economico-giuridico inserito all’interno del progetto FAMI “Idee da coltivare”, che ha visto in campo alcuni Sprar abruzzesi, laziali e campani. “Idee da coltivare”, i cui risultati verranno presentati proprio a L’Aquila il 20 dicembre 2018, è mirato all’avviamento di microimprese create da rifugiati in possesso di asilo politico o protezione sussidiaria. Fase primaria del progetto era proprio il corso di italiano, che ho tenuto sia per gli Sprar aquilani che per quello di Montesilvano: il vincolo del possesso di una protezione di 5 anni mi ha obbligato a pianificare un percorso didattico legato indissolubilmente alla natura multilivello dei gruppi di apprendenti partecipanti ai corsi, che andavano dai Pre A1 ai B2.
Anche in questo caso si potrebbe parlare di insegnamento integrato sebbene la seconda fase del progetto, basata su corsi di formazione specificatamente professionali, mi ha permesso di concentrare maggiormente l’attenzione sullo sviluppo delle competenze linguistiche. Per meglio comprendere il lavoro svolto, riporto i titoli e gli argomenti delle lezioni del corso:
- Lavori e mestieri
- Gli annunci di lavoro
- I settori produttivi
- I contratti di lavoro
- La busta paga
- Inail e Inps
- L’Agenzia delle Entrate
- La partita IVA
- Le forme giuridiche
- Il Registro Imprese
- La Camera di Commercio
- Il sindacato
- Il lavoro e la Costituzione
- I codici
Anche in questo caso è necessario sottolineare come, a conclusione di progetto, due microimprese create da beneficiari ed ex beneficiari degli Sprar gestiti dal Comitato Territoriale Arci L’Aquila abbiano avuto accesso a due finanziamenti da 10.000 euro ciascuno per un’azienda apistica e per un’azienda per la coltivazione di grani antichi.
In conclusione, possiamo affermare che l’insegnamento della lingua L2 è senz’ombra di dubbio uno strumento necessario all’inclusione che contemporaneamente necessita di una serie di attività didattiche e di interventi progettuali. In classe bisogna fornire tutti gli elementi necessari per migliorare la competenza comunicativa, concentrandosi sugli aspetti linguistici ma anche su tutti quelli extralinguistici, socio-pragmatici e interculturali. Quando poi ci troviamo in situazioni di marginalità, è ancora più importante l’approccio a una “didattica ecologica, che prenda in considerazione l’allievo come individuo completo”.9 Diviene allora necessaria non solo la riflessione sullo sviluppo delle competenze comunicative, ma anche l’inserimento nell’ottica dei corsi di lingua di progetti di integrazione che impegnino gli apprendenti sul piano culturale e su quello socio-economico. In quest’ottica, il modello Sprar è l’unico in grado di garantire quella rete territoriale, istituzionale ed economica necessaria alla buona riuscita di tali progettazioni.
1 P. Balboni, Le sfide di Babele, Utet, 2015 Torino.
2 G. Freddi, Metodologia e didattica delle lingue straniere, Minerva, Bergamo 1975.
3 P. Balboni, cit. pp. 34-35.
4 Ibidem.
5 Consiglio d’Europa, Quadro Comune Europeo di Riferimento, la Nuova Italia – Oxford, 2002, ma anche https://www.coe.int/en/web/common-european-framework-reference-languages
7 Ibidem.
8 Ibidem.
9 P. Diadori, M. Palermo, D. Troncarelli, Insegnare italiano come seconda lingua, p. 45, Carocci editore, Roma 2015.